Questione di nome: se non si chiamasse più F1…

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Tempo di lettura: 4 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
24 Novembre 2016 - 19:00
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Siamo all’epilogo del 2016 e, contemporaneamente, alla vigilia di un nuovo cambio regolamentare per il 2017.

Avremo macchine diverse, una proprietà diversa, personaggi diversi al comando e in pista. Il comune denominatore di tutto questo, però, rimane sempre quello, il nome: continuerà a chiamarsi Formula 1. Io e molti altri siamo legati talmente a questo nome da non renderci conto di essere diventati adulti, che il mondo intorno a noi non è più quello di una volta ma che, soprattutto, anche lei, la F1, non è più quella di un tempo. Si è evoluta sotto tanti aspetti, è diventata antipatica per altri: insomma, non è più la stessa.

Anche se siamo sempre meno continuiamo però a seguirla, come degli irriducibili romantici che sperano, un giorno, di vedere ascoltate le critiche ad uno sport che non è più quello al quale ci si è appassionati da piccoli. Per amore del nome abbiamo continuato a guardarla, ammirarla, invidiarla, mentre sotto gli occhi ce la deturpavano nei circuiti, nei regolamenti, nello spirito e nella veridicità. Come una ragazza conosciuta da giovane della quale ci siamo follemente invaghiti e che, nonostante gli anni, continua ad attirarci anche se non è più quella di un tempo, l’abbiamo scoperta diversa da quella che pensavamo, non ci ha mai filati di striscio. Al tempo stesso la detestiamo, ma non possiamo smettere di guardarla, perché ne abbiamo follemente bisogno.

Ci lasciamo andare all’indignazione quando sentiamo parlare di due gare a weekend, quando ci impongono i doppi punti all’ultimo appuntamento una tantum, quando ci cambiano le qualifiche dopo due sabati perché sono inguardabili. Ce la prendiamo col direttore di corsa quando piove troppo o troppo poco, quando la Safety entra troppo tardi o troppo presto, oppure quando il titolo mondiale si decide su un tracciato, quello di Abu Dhabi, che è un po’ come giocare la finale del mondiale di calcio nel campetto di periferia protagonista della scapoli contro ammogliati di Fantozzi. Viviamo la nostra passione in modo possessivo, come se dopo tanti anni la F1 fosse anche nostra e dei bruti, ignoranti ed insensibili, continuassero a derubarla del suo significato più profondo.

“Perché non cambiarle nome?” mi sono chiesto più volte. Semplice, la forza di un marchio come “F1” è globale. Ma che ne sarebbe di tutte le critiche se un bel giorno, quest’inverno, dall’alto decidessero di chiamarla “GP1”? All’atto pratico non cambierebbe nulla, ovviamente. I piloti sono sempre loro, i team anche, i circuiti pure. È il fattore psicologico, quello che mi interessa. Mettiamo che per il 2017 si decidesse veramente di rivoluzionare il weekend introducendo due gare, assegnando punti per la pole e per il giro più veloce. Tutto questo mantenendo il nome che conosciamo dalla notte dei tempi. Partirebbe la rivolta popolare, almeno tra gli appassionati. E se tutto questo invece succedesse decidendo, tra le altre cose, che dal 2017 il nome ufficiale diventerà “GP1” uniformando la categoria regina della FIA alle sue serie minori?

Sono sicuro che metabolizzeremmo il tutto in modo molto diverso. Perché siamo legati al nome, più che alla categoria. Se da lunedì, o da Melbourne 2017, non si chiamasse più F1 ma avesse un altro nome, psicologicamente daremmo il permesso ai padri padroni di fare della categoria quello che vogliono. Perché la F1, nella nostra testa, sarebbe terminata nel 2016, consegnata definitivamente alla storia e salva da qualsiasi ulteriore tentativo di deturpamento o violenza regolamentare. Fissata con una data di inizio, il 1950, e una di fine, il 2016 appunto. Tutto questo anche se, di fatto, lo sport continuerebbe a vivere (vivacchiare…) come ha sempre fatto.

Sono anche sicuro che, se mai qualcuno avesse il coraggio di cambiare la storia di questa disciplina conferendole anche una nuova identità, tanti agonizzanti appassionati di lunga data si sentirebbero finalmente liberi da un vincolo morale che li tiene aggrappati, con le unghie e con i denti, ad uno schermo dal quale si vorrebbero separare entrando in una disintossicazione, dopo decenni, anche meritata. Forse, tutte le proposte che sentiamo di tanto in tanto, servono a sondare la reazione del pubblico, anche se dubito che del pensiero del povero appassionato qualcuno, là in cima alla piramide, sia interessato. Altrimenti, certe oscenità non le avremmo certo viste.

Eppure, almeno personalmente, sono mesi che penso ad un ipotetico cambio di identità e a quello che potrebbe generare. Magari si tratta unicamente di squilibri mentali dati dal fatto che, tra quattro giorni, anche quest’anno sarà archiviato. Ma sarei curioso di sapere la mia reazione se una domenica mi dovessero chiedere “Ma oggi pomeriggio devi guardare gara 2 della GP1?”

Solo a leggerla, una domanda così, mi sento stranito e forse anche un po’ impaurito: non so cosa potrei rispondere, ma sarebbe sicuramente un’altra storia.

Meno romantica e possessiva. Su questo non ho alcun dubbio.

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