Quello che gli ascolti (non) dicono

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Tempo di lettura: 5 minuti
di Alessandro Secchi @alexsecchi83
4 Ottobre 2016 - 17:45
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Il risultato televisivo del Gran Premio della Malesia dipinge un quadro, a mio modo di vedere, abbastanza chiaro ed inquietante allo stesso momento di quello che è, indipendentemente da chi trasmette le gare di F1, l’utente medio della massima categoria nel nostro paese.

Potrei riassumere il tutto con una sola sentenza: siamo un paese di ferraristi. E qui qualcuno potrebbe dirmi bravo pirla, hai scoperto l’acqua calda: dici che segui da 25 anni e lo capisci solo adesso”.  Fatemi continuare il discorso. Prendo in esame alcuni dati del passato recente, mettiamola così.

Gran Premio degli Stati Uniti 2000, trasmesso dalla RAI il 24 settembre, terzultimo appuntamento dell’anno: 14.395.542 spettatori. Avete capito bene. 14 milioni e 400 mila persone attaccate alla televisione. Fu quello successivo al Gran Premio d’Italia, con la vittoria di Schumacher dopo tre mesi di digiuno. E lì di spettatori se ne fecero 13 milioni e 843 mila. Salto di qualche anno, e vado al 2004. GP del Barhain, terzo appuntamento della stagione: 12 milioni 977 mila spettatori.

Ed ora un trittico a Monza: 2005, 2006, 2007: 7 milioni 939.000 spettatori nell’anno di magra per la Ferrari, 10.074.000 nel pieno della lotta Alonso-Schumacher, 8.313.000 nell’anno della Spy-Story e di un Raikkonen che sembrava ormai fuori dai giochi.

Per non stancarvi troppo con i numeri arrivo direttamente, ora, al caso Malesia. 2015, seconda gara dell’anno: Vettel vince al mattino la sua prima gara in rosso e la notizia trapela. Se SKY registra 130.000 spettatori in più rispetto al 2014, la differita sulla RAI, guarda caso, fa un salto in avanti e passa da 2 milioni 772 persone del 2014 a 5 milioni 44 mila.

2016: Vettel dopo una curva è out. Su SKY decine di migliaia di spettatori pensano che sia il caso di tornare a dormire invece di seguire una gara che poi avrebbe regalato ottimi momenti, e gli ascolti crollano del 40% rispetto al 2015. Anche qui la notizia trapela, chi si sveglia scopre che Vettel si è ritirato, Hamilton è andato a fuoco e Ricciardo ha vinto, ma non è la stessa cosa dell’anno scorso. Sulla RAI si registrano 2 milioni 909 persone. 2 milioni in meno rispetto a 12 mesi prima, 130.000 in più rispetto al 2014.

Aggiungo un altro dato. Il numero di spettatori medi della Formula 1 per anno, a partire dal 2000, è progressivamente crollato fino a quasi dimezzarsi dagli 11 milioni del 2000 ai 6.5 del 2012. Lo sdoppiamento tra RAI e SKY, a partire dal 2013, ha dato un’ulteriore mazzata ai numeri portando via oltre 2 milioni di spettatori medi a GP. Gli anni in cui il crollo è stato evidente sono quelli in cui la Ferrari non aveva alcuna possibilità di lottare per il titolo: 2005, 2009, 2011.

Da qui emergono diversi filoni da prendere in considerazione.

Punto primo: il calo di interesse generale verso la Formula 1 è assodato ovunque: a furia di mirarsi allo specchio puntando esclusivamente allo show premeditato, manco fosse il Wrestling, la massima categoria è diventata l’ombra di se stessa. Standardizzazione, finto contenimento dei costi, tentativi goffi di aumentare l’interesse non hanno fatto altro che peggiorare gradualmente ed inesorabilmente le cose.

Punto secondo: in Italia il seguito, già calato di suo, è palesemente condizionato dal fatto che la Ferrari vinca o meno. Altrimenti è inspiegabile quanto successo a 12 mesi di distanza con il Gran Premio della Malesia. La gara di Sepang è stata, anche grazie al concetto di diretta (SKY) e differita (RAI), il perfetto esempio del comportamento dell’utente medio italiano. Che sale sul carro del vincitore e si interessa solo quando la Ferrari fa bene altrimenti guarda altro (o, meglio ancora, dorme). Inutile immaginare cosa succederebbe domani se stasera la Ferrari levasse le tende dalla F1. Ma a questo punto mi chiedo, personalmente, quale sia la correlazione tra il ferrarista puro e la Formula 1. Perché viene da pensare che in realtà una cosa non coincida matematicamente con l’altra. E, guardando a posteriori i dati di 15 anni fa, il sospetto è che gran parte di quel pubblico fosse formato da utenti occasionali spinti dall’onda dei trionfi: un po’ come quando gioca la nazionale di calcio o seguiamo le Olimpiadi, per intenderci.

Punto terzo: la ripartizione della trasmissione tra SKY e RAI fa più male che altro. Personalmente ho sempre odiato qualsiasi tipo di differita: inutile, a meno di casi particolari, guardare un evento del quale conosco già il risultato. E, al giorno d’oggi, è tremendamente difficile restare isolati dal mondo per ore in attesa di vedere una partita o una gara registrate. Ovviamente, questo è un punto di vista personale, però i dati delle differite RAI parlano abbastanza chiaro. Quando l’evento andato in onda ore prima in diretta ha prodotto risultati positivi gli ascolti salgono, altrimenti restano bassi o in media. Come appendice a quello che precede, aggiungo che l’intasamento dei calendari pone delle scelte su cosa seguire e come gestire un weekend colmo di appuntamenti motoristici. Immagino che ognuno assegni delle priorità: e se la F1 ha l’appeal di una scapoli – ammogliati su campo neutro…

Sul secondo punto mi ricollego alla critica di un paio di giorni fa nei confronti di SKY per la sua linea editoriale, pubblicata su queste pagine. In un paese fortemente condizionato dal tifo per un team come la Ferrari (ma potrebbe essere chiunque), è logico e comprensibile cercare di puntare su approfondimenti e notizie mirate per mantenere alto l’interesse del pubblico. Al tempo stesso, però, il rovescio della medaglia è servito. Se il team sponsorizzato non vince si hanno due risultati: primo, il pubblico medio smette di seguire e, secondo, gli appassionati che seguono a prescindere si stancano di vedere a ripetizione spot in un’unica direzione. Sarebbe quindi più corretto, per un network che ne ha le potenzialità, spaziare a 360 gradi per tenere alto l’interesse a priori e non facendo leva sui risultati di un solo team. Ammortizzando, nel caso, stagioni magre come quella attuale.

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Un Commento su “Quello che gli ascolti (non) dicono”
Stefano M dice:

Ciao Alessandro,

sarebbe interessante fare dei paragoni con i dati di ascolto di emittenti di altri paesi europei per avere dei riscontri non influenzati dal tifo per la Ferrari.

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