Pagelle del GP della Malesia 2015

F1Le Pagelle
Tempo di lettura: 13 minuti
di shalafi81
31 Marzo 2015 - 09:30
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In Malesia le tigri tornano a vestirsi di rosso, con Vettel che sbanca Sepang e porta a casa una vittoria storica davanti alla coppia Mercedes. Risorge anche Räikkönen, quarto dopo una gara tutta in rimonta. Male le Red Bull, disastro McLaren, con Alonso [bentornato!] e Button lenti e ritirati. Buona lettura!

Lewis Hamilton: 8 – Il tuo primo avversario, si dice, è il compagno di squadra. Tantopiù se è da più di un anno che sai benissimo che ti basta metter dietro lui per vincere gare e titoli. Durissima tornare sulla terra. Conquista la pole, in condizioni complicate, per un battito di ciglia. Fa gara praticamente solitaria, a parte un paio di incroci dovuti a differenze strategiche. Ma Vettel, che gli scappa via all’inizio causa smarcamento pit stop, non lo prende più. Incenerisce il suo ingegnere ai box prima urlandogli che mentre è in curva deve star zitto, poi sentenziando che gli hanno montato le gomme sbagliate. In realtà il successo della Ferrari è pieno e legittimo. E lui lo ammette, ma a fatica. Scioccato.

Nico Rosberg: 7 – Non bastava quell’inglese che va in giro vestito da truzzo di periferia, ora ci si mette anche quel biondino tedesco con la barbetta rada che viaggia su un’auto rossa che fino all’anno scorso non andava neanche a spingerla. Ce l’hanno tutti con me, perbacco, nessuno mi vuole bene, nessuno vuol più farmi vincere. Se è dura tornare sulla terra per Lewis, figuriamoci per Nico, che -seppur con un inverno in mezzo- in due gare passa da lottare per il campionato a rischiare di ritrovarsi terza forza del mondiale. La sua gara è figlia di una qualifica non impeccabile, che si ripercuote poi nelle scelte del suo box che lo penalizzano rispetto al caposquadra. Alla fine con le morbide vola, ma è troppo tardi. Un podio avvelenato, sul serio. Chissà che non gli serva da sveglia. Snob.

Daniel Ricciardo: 6 – Ogni volta che tocca i freni si vede uscire dalle pinze anteriori un fumo nero che neanche durante le elezioni del papa. Nero come la pece, nero come l’umore in casa Red Bull. Perché se la Power Unit Renault somiglia di più a una Pover Unit, e se neanche il telaio per una volta pare irresistibile, non è equilibrando al ribasso anche i freni che si ottiene l’equilibrio in grado di far marciare regolarmente la monoposto. Una gara di sofferenza, per il nasone australiano, soprattutto perché non riesce ad essere incisivo in quello che solitamente è il suo punto di forza, il sorpasso. Compie anzi tanti errori per mancanza di quella che gli inglesi chiamano brake confidence, feeling in staccata. Alla fine lo passerà anche Kvyat, che pure non ha avuto una gara lineare. Non merita la bocciatura, ma neanche di più. Perché ora è lui il caposquadra. Confuso.

Daniil Kvyat: 7 – Avere vent’anni o poco più e tanta voglia di spaccare il mondo significa, ad esempio, prendersi il lusso di chiudere davanti alla rivelazione dello scorso anno, nonché compagno di squadra, dopo averlo passato in pista. Vuol dire infilarsi tra lui e Hülkenberg in lotta cercando di passare entrambi. Ma vuol dire anche avere l’ottimismo di credere che la manovra possa riuscire, così tanto da non guardare nemmeno negli specchietti per verificare. Per carità, per la FIA la colpa è del tedesco, che verrà anche penalizzato. Però, cribbio, se attraversi sulle strisce sai che hai la precedenza ma un occhio lo butti lo stesso, hai visto mai… A parte questo, il ragazzo mostra carattere -e non è una novità-, velocità e talento. Deve solo mettere tutto assieme. E potrà -al netto di una Red Bull carente- fare sfracelli. Esuberante.

Valtteri Bottas: 7 – Al debutto stagionale in gara, azzecca una partenza che oggettivamente peggio non si potrebbe, scatta male e poi si infila in un pertugio dal quale uscirà nella pancia del gruppo. Orribile. Con calma e pazienza risale, esibendosi anche in qualche bel sorpasso -splendida la manovra ai danni di Max Verstappen- e a fine gara, con gomme più fresche, riprende e supera anche Massa, chiudendo quinto e primo delle Williams. Non male, considerando la partenza. Proprio lo start gli costa un voto in meno, rispetto a quanto avrebbe meritato dalla seconda curva in poi. Ma lui -al netto di una Williams che a Sepang ha giocato in difesa- c’è sempre. Lottatore.

Felipe Massa: 6,5 – Incredibile a dirsi, se si pensa al primo giro, ma Bottas gli finisce davanti. Galleggia, di riffa e di raffa, a centro gruppo per tutta la gara, con una Williams che non trova la quadra e che non gli consente spunti velocistici degni di nota. Per contro, la sua crew gli regala un pit stop lento anzichenò, che gli fa perdere parecchio tempo. Non è per questo che Valtteri lo riprende, però. Questione di ritmo, il finlandese ne ha di più. A fine gara fa buon viso a cattivo gioco, dicendo che la sua Williams di più non ne aveva. In realtà è semplicemente una giornata tutto sommato anonima, per il brasiliano, nel giorno della sua ex squadra. Ci può stare, per carità. Ma che non diventi un’abitudine. Pacato.

Sebastian Vettel: 10 – Se cercate retorica, epica, pathos, qui non ne troverete. Quella -legittima, intendiamoci- la lasciamo ad altri più bravi di noi. Quando si fa una pagella la prima cosa che si fa è isolare uno o due concetti, che poi si cercherà di raccontare in maniera chiara e, si spera, accattivante. Qui i concetti sono tre. Uno: la Ferrari è tornata, #FerrariIsBack, lo ha detto anche Seb a fine gara. La macchina c’è, è veloce, gentile con le gomme, pare anche affidabile. Due: Quattro mondiali non si vincono per sbaglio: questo, signori, è un uomo squadra, prima ancora che un pilota sopraffino. Tre: vittoria chiara, meritata, attenzione: le streghe, pardon le rosse, son tornate. E la sequenza inno tedesco-italiano, anche se per chi vi scrive è sempre stata sinonimo di iattura, è da brividi. Epic.

Kimi Raikkonen: 9 – Vi diremo di più: senza l’inghippo in qualifica, questa gara poteva vincerla, Kimi. Perché se parti undicesimo, sbagli la partenza, vieni tamponato, devi farti un giro su tre ruote e ripartire dal fondo, non arrivi quarto per caso. #FerrariIsBack, scrivevamo, ma anche #KimiIsBack. A Melbourne lo sospettavamo, ora ne abbiamo la certezza. Tra l’altro perde una ventina di secondi perché, dietro la Safety Car, Nasr è lento a capire che può accodarsi al serpentone e così ci fa rimettere anche il biondino di Espoo. Ma la velocità -e la grinta- sono quelle dei tempi migliori, e Kimi non ha paura di nulla. Risale, sgomita, sportella, e alla fine arriva quarto. Ripetiamo: senza l’inghippo in qualifica, per quanto fatto vedere, avrebbe anche potuto vincerla, questa gara. Per il sabato, noi lo assolviamo. Per il resto: bravissimo. Implacabile.

Fernando Alonso: 8 – Il fulmine che si riflette sul musetto della sua McLaren durante le prove sembra uscito da un film. Dal Truman Show, per la precisione. Detto questo: sta davanti a JB per tutta la gara, porta la macchina a ridosso della zona punti finché non gli dicono di ritirarsi. Il solito Alonso, insomma. Non era scontato, dopo quanto accaduto nell’ultimo mese. Sul disastro McLaren-Honda non ha responsabilità. Probabilmente è già [di nuovo!] in rotta con la squadra, ma lotta lo stesso come un leone. E fa quasi tenerezza sentirlo dire «lottavamo contro altre auto, non ce l’aspettavamo, è stato bellissimo» dopo aver girato a 3″ dai più forti. Irriducibile.

Jenson Button: 7,5 – A differenza dell’Australia non taglia il traguardo. Viaggia più o meno di conserva dietro ad Alonso, trova il modo addirittura di stupirsi nel tenere il passo della Sauber di Nasr, insomma fa il suo. La gara perfetta del comprimario. Se considerate che quest’uomo ha anche vinto un mondiale, nel 2009, tanto di cappello per la voglia e la dedizione. La sua McLaren è la più classica delle cause perse, certo. Ma lui si prende lo sfizio, così come in Australia, di duellare con l’ex compagno Pérez e, stavolta, di passarlo addirittura in pista. Come dicevamo quindici giorni fa, certe ruggini son dure da cancellare: date una Mercedes al messicano, e JB vincerà il mondiale. Poi certe impennate d’orgoglio si pagano, e la macchina lo lascia a piedi. Ma come chiedergli, oggettivamente, di più? Paziente.

Nico Hülkenberg: 5,5 – Se esistesse un premio per la coppia di piloti più caliente, di certo andrebbe alla Force India. Senza alcun dubbio. Se le condizioni non cambiano, questi qui raccoglieranno pochi punti ma di sicuro ci faranno divertire. Prendete Nico: parte a fionda, si issa in settima posizione e resiste con caparbia ostinazione a chiunque passi dalle sue parti, facendo diventare matto Ricciardo. Poi, quando l’australiano tenta una manovra kamikaze, allarga la traiettoria e nella controcurva seguente va a speronare Kvyat, che aveva approfittato della bagarre tra i due. Intendiamoci: manovra ottimistica, quella del russo, ma manovra sconsiderata quella del tedesco, considerando quanto aveva da guadagnare resistendo -poco- e da perdere sbattendo – tantissimo. A fine gara viene raggiunto da Pérez che lo passa in tromba. Chiude quattordicesimo, davanti solo alla Manor-Marussia. Forse, forse, forse, [repetita juvant] con una condotta più accorta qualche punticino si poteva raccogliere. Focoso #1.

Sergio Pérez: 5,5 – Come negarsi, anche a Sepang, un bel duello all’arma bianca con Button? Del resto, ci piace sottolineare che in quindici anni di F1 l’unico in grado di far incazzare il sempre pacato JB è stato proprio questo messicano dalla faccia simpatica e dall’indole tempestosa come la notte malese nella stagione dei monsoni. A inizio gara va in crisi di gomme ed è lento come una Panda a metano [primo modello], poi come detto si imbarca in una lotta senza speranza con JB e quindi spedisce fuori pista Grosjean che lo stava passando all’esterno beccandosi anche una penalità. Nonostante tutto finirà comunque davanti ad Hülkenberg. A testimonianza che forse, in casa Force India, la macchina è il problema minore. O quantomeno che stando calmi, qualche punto in più si potrebbe portare a casa. Focoso #2.

Max Verstappen: 8,5 – Che bravo! Pensiamo a suo padre, non osiamo nemmeno immaginare cosa combinasse a 17 anni, poi vediamo lui e capiamo che sì, in fondo, Darwin poteva anche aver ragione. Scherzi a parte, dal padre ha preso la grinta, la velocità istintiva, il talento. Ma in più, rispetto a Jos the Boss -chi vi scrive, a scanso di equivoci, per l’olandese ha anche tifato, ai tempi- il buon Max ostenta una maturità e una freddezza sorprendenti, considerata l’età e la poca esperienza. Splendido in qualifica, velocissimo in gara, rischia grosso quando va lungo all’ingresso ai box ma per il resto ha una condotta perfetta che gli consente di passare, a poche tornate dalla fine, il suo compagno di squadra e soprattutto di chiudere al primo posto la gara dei Tori Rossi, precedendo Sainz, Kvyat e Ricciardo. Da urlo, insomma. Ora deve confermarsi, e soprattutto ricordarsi che da Verstappen a Versbatten -così chiamavano suo papà- il passo è breve, quindi attenzione, attenzione, attenzione. Prodigio.

Carlos Sainz jr: 7,5 – Ecco un altro pilotino da leccarsi i baffi. Ha il demerito di sbagliare in qualifica, ha il merito di partire benissimo e -soprattutto- di far ammattire Ricciardo costringendolo due volte all’errore. Duella senza timori reverenziali con Button, Massa, Raikkonen, Hamilton, senza sbagliare una virgola. E soprattutto porta a termine la gara con due sole soste, come Vettel, senza arrivare sulle tele. Certo, a fine corsa Verstappen lo passa, ma tiene comunque dietro le due Red Bull, e soprattutto non commette nemmeno una sbavatura. Certi ventenni sono più maturi di alcuni vecchi trentenni. I tempi cambiano, beata gioventù. Serio.

Romain Grosjean: 8 – Il suo compagno Maldonado si ostina a dire che la macchina va bene, e che il potenziale c’è. Boh, a noi -per quel che vale- non sembra che la Lotus sia un fulmine di guerra, o meglio che brilli per guidabilità e stabilità. Però Romain ci crede. Lotta, sgomita, ci prova, si inserisce ai margini della zona punti con temperamento ed ammirevole costanza. Fino a quando non incrocia i guantoni con Pérez, che lo spedisce allegramente fuori pista in un punto in cui si va ai 250 all’ora e gli rovina gomme e gara. Mi sono divertito -chiosa a fine gara con pungente sarcasmo- ma non ho avuto grossi benefici da quel 360°. Peccato, perché poteva arrivare a punti e invece deve accontentarsi dell’11mo posto, la più classica delle medaglie di legno. Verranno tempi migliori, che giustifichino il fatto che sta guidando davvero bene e che oramai non sbaglia più. Bastonato.

Pastor Maldonado: 7 – Ancora un incidente al via, ancora noi a pensare, come in Australia, «Ecco, il solito Maldonado, prima curva e di nuovo su tre ruote». E ancora una volta ci andiamo a rivedere il replay e scopriamo che è stato Bottas a dargli una bella Botta[s] e a forargli la posteriore destra rovinandogli la gara. Pastor incolpevole, ancora. Come avevamo scritto a Melbourne, deve davvero essere la legge del contrappasso. Lui poi ci mette del suo superando il limite di velocità nella corsia box e beccandosi una penalizzazione, ma la pietra tombale sulla sua sfortunata gara ce la mette la Power Unit, che lo costringe al ritiro al giro numero 50. Peccato, perché in realtà dopo l’incidente aveva guidato bene. Il voto è di incoraggiamento, ne ha bisogno. Bersagliato.

Marcus Ericsson: 4 – Vanifica una bella qualifica con un errore tanto banale quanto stupido e addirittura volgare, nella sua inutilità. E’ vero, Vettel dovrebbe fargli un movimento, perché è grazie alla Safety Car successiva al suo fuoripista che arriva lo smarcamento strategico che propizia la vittoria Ferrari. Ma finir fuori così, in uno scellerato tentativo di sorpasso dopo appena tre giri, è inaccettabile. E onestamente inizia a stufarci. Basta.

Felipe Nasr: 5 – La rivelazione di Melbourne stavolta non trova la quadra. Al via tampona Raikkonen, forandogli una gomma, e deve fermarsi a cambiare ala. Poi rallenta sempre il finlandese, in regime di Safety Car, non riaccodandosi immediatamente al serpentone. Quindi porta a termine una gara incolore, estraneo alle tante lotte viste in pista, quasi mai inquadrato dalle telecamere. L’impressione è che non ci abbia capito granché. A fine gara ammette di non aver trovato un assetto soddisfacente in tutto il weekend, e che in queste condizioni non si sentiva a suo agio. Questione anche di esperienza. Ma in F1 serve di più. E soprattutto non giustifica il fatto di aver rovinato la gara di un altro pilota, due volte. Distratto.

Will Stevens: sv – Non disputa la qualifica. Lo ammettono lo stesso al via. Lui diserta, con nobile sprezzo della spintarella concessagli dalla FIA. La meritocrazia innanzitutto, ohibò. Poi si dice che lo stile non è di quest’epoca. Un uomo d’altri tempi, sissignore. Lord.

Roberto Mehri: 7 – Lui invece si qualifica e prende parte alla gara. O quantomeno questo è quello che dice l’ordine d’arrivo, che lo vede al traguardo staccato di tre giri. Che poi questo sia effettivamente correre, beh, parliamone. Meglio star zitti e lasciare il dubbio di esser scemi oppure aprire bocca e togliere il dubbio? Non esiste risposta, in questo caso, alla celebre domanda messa in bocca a tanti personaggi famosi. Di certo di più, da esordiente, non gli si poteva chiedere. Preciso, corretto nei doppiaggi, non fa danni e porta a casa la vettura senza nemmeno un graffio. Votone d’incoraggiamento, forse eccessivo. Ma provate voi, a correre in queste condizioni. Mehri per sempre, come il titolo di un vecchio film. Impeccabile.

Manuel Codignoni
www.passionea300allora.it

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Un Commento su “Pagelle del GP della Malesia 2015”
juri dice:

Grande belle preparati per spa che è ora dei biglietti

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