Il Leone Nigel ruggisce ancora

BlogF1Hammer Time
Tempo di lettura: 7 minuti
di Giancarlo Marseglia Ceccoli
23 Ottobre 2015 - 10:30
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Nigel Mansell mi ha dato un ottimo spunto per parlare di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, secondo me, è alla base della crisi della Formula 1 odierna. L’ex campione inglese è stato intervistato dalla Gazzetta dello Sport e, in estrema sintesi, ha detto che la F1 di oggi è: troppo facile, ostaggio degli ingegneri e dei simulatori, limitante per il talento dei piloti.

Sono tutte cose che noi spettatori, dalle nostre poltrone e dai nostri divani, ripetiamo da anni e, per questo, qualcuno potrebbe dire che noi non siamo nessuno per dire certe cose.

Se, però, a dirle è un ex campione del mondo, forse forse il problema è reale.

Partiamo, allora, proprio da quest’intervista di Mansell per sviluppare un ragionamento: innanzitutto, Mansell ricorda che ai suoi tempi era praticamente tutto in mano ai piloti, mentre oggi i piloti sono costretti a seguire pedissequamente le indicazioni del muretto. Per colpa delle regole attuali, inoltre, ai piloti viene richiesto di gestire la macchina, perché altrimenti si consuma troppo carburante e si usurano le gomme. Come può emergere il talento individuale in una condizione simile? È proprio questo che si chiede Mansell: in una F1 più libera, il pilota ha la possibilità di esprimere le proprie qualità individuali, mentre adesso queste qualità vengono mortificate, in nome di un livellamento generale che, secondo chi scrive le regole, dovrebbe garantire più spettacolo (!). Al paese mio (e mi fa piacere che, evidentemente, sia lo stesso di Nigel Mansell) lo spettacolo c’è proprio quando si vedono le differenze tra i piloti, i loro diversi stili di guida, i loro diversi approcci mentali alla corsa, non certo quando si vede una gara in cui sembra di vedere lo stesso pilota clonato venti volte, teleguidato da un muretto dei box.

D’altronde, in tutti gli sport lo spettacolo è questo. Cristiano Ronaldo è amato (e odiato dagli avversari) proprio perché è diverso dagli altri. Stesso discorso per LeBron James, Roger Federer, Richie McCaw (approfitto per fare un po’ di pubblicità alla coppa del mondo di rugby, visto che siamo in periodo) e tanti altri che primeggiano nei rispettivi sport. Un tempo, anche la F1 era così. Ora mi sembra che stiamo andando nella direzione opposta e non vedo perché al pubblico questa cosa dovrebbe piacere. Secondo il mio modo di vedere, è mortificante vedere un grande talento imbrigliato da delle regole stupide, impossibilitato a esprimere il 100% delle proprie qualità. Provate a dire a CR7 che non può più fare le sue proverbiali finte perché una regola glielo proibisce!

Sempre su quest’argomento, Mansell ha aspramente criticato i famigerati simulatori: anche questi, ovviamente, contribuiscono all’appiattimento generale. I piloti meno esperti arrivano su piste su cui non hanno mai girato ma che, paradossalmente, conoscono come le loro tasche grazie al simulatore. Bella forza! Con questo, attenzione, non si vuol certo sminuire il Verstappen di turno, ma si vuol soltanto dire che il compito è un po’, come dire, facilitato. Oltretutto, a mio modesto modo di vedere, il simulatore tende a inibire la creatività, sviluppando piuttosto uno stile di guida “da laboratorio”. Per fortuna Verstappen ci sta smentendo, dimostrando di avere, anzi, uno stile di guida assai particolare, ma sappiamo bene che Verstappen è, con ogni probabilità, un caso più unico che raro.

Altra problematica individuata da Mansell è quella della semplicità delle monoposto: sembra strano, visto che, guardando un volante di una F1 attuale, si direbbe che sia complicatissimo guidarne una. Eppure, paradossalmente, è più facile rispetto a qualche decade fa. Perché? È presto detto: innanzitutto c’è, come dicevamo poco fa, un ingegnere che ti dice in ogni momento cosa fare; poi c’è un altro aspetto, molto elementare: le monoposto dei decenni scorsi erano difficili da mantenere in pista, avevano dei motori mostruosamente potenti e un’aerodinamica molto più spartana, quindi guidarle era fisicamente difficilissimo! Ora sembra di vedere delle macchine telecomandate ed è difficile anche capire quando un pilota stia guidando al limite e quando no. La Formula 1, secondo me, dovrebbe essere intrinsecamente difficile. Lì sta il bello: solo pochi dovrebbero essere in grado di guidare una monoposto e ancora meno piloti dovrebbero essere in grado di spingerla al limite estremo. Altrimenti è troppo semplice. Mi ritengo un democratico da sempre, eppure sono fermamente convinto che lo sport professionistico non debba esserlo per niente (semmai dovrebbe essere possibile per tutti avere l’opportunità di praticarlo indipendentemente dalla condizione sociale, ma quello è un altro discorso). Può essere democratica una partita di calcetto tra amici, dove non c’è nulla in palio, non un campionato del mondo, perché lì devono concorrere solo i migliori e quella dei migliori è, per definizione, una cerchia molto ristretta. Semplificare le cose non aiuta lo spettacolo, ma lo mortifica.

Sempre parlando dei piloti, Mansell parla anche delle loro personalità: è convinto che questo appiattimento a cui assistiamo in pista si ripercuota anche fuori da questa, con qualche rara eccezione. Ma non è certo colpa loro. Come dargli torto?

Per finire, last but not least, come si dice nei Paesi di lingua inglese, la spinosa questione delle piste: le piste di oggi sono anonime, scialbe e non danno la percezione del rischio. Toh! Nigel ancora una volta ha detto delle cose che io e tanti altri, illustrissimi signori nessuno, ripetiamo da anni fino alla nausea! Quindi, ancora una volta, i nostri non sono proprio discorsi campati per aria…

La scomparsa del rischio, lo dico da molto tempo, pure ha contribuito alla crisi odierna: bastava eliminare il pericolo di morte, lasciando però ai piloti la consapevolezza che quello che si fa è comunque pericoloso, invece siamo andati oltre, arrivando all’eccesso opposto. Secondo la mia visione, e suppongo che anche Nigel la pensi così, basterebbe la garanzia che il rischio di farsi seriamente male fosse ridotto al minimo possibile, lasciando però il rischio di compromettere la propria gara, pagando con un ritiro il proprio errore. Bastano delle barriere ben progettate, abbinate alla scocca della monoposto. Mi sembra che a questo siamo arrivati, no? La situazione è degenerata quando si è iniziato a vituperare i tracciati storici e a costruirne di nuovi sempre più anonimi, in posti sempre più improbabili.

Il fascino delle piste storiche era dato proprio dalla loro difficoltà, erano piste belle e terribili. Ora sembra di guardare delle piste per bambini. A nessuno piace vedere delle carneficine, ma credo che non piaccia nemmeno vedere un pilota andare fuori pista e rientrare come se niente fosse perché la via di fuga l’ha, per così dire, perdonato. Credo che si possa trovare un compromesso: barriere sicure, ma precedute da vie di fuga in ghiaia o erba, come si è fatto per decenni. Così, se sbagli, non corri il rischio di morire, però la gara comunque non la finisci. Mi sembra una buona via di mezzo. Il motorsport è questo, d’altra parte: è (era?) lo sport che meno di tutti perdona gli errori, d’altronde non è proprio una cosa da comuni mortali correre a 300 all’ora su un circuito, altrimenti chiunque in possesso di una patente potrebbe iscriversi al Mondiale di Formula 1…

Oltretutto, non va sottovalutata la contraddizione che questa politica di sicurezza estrema porta con sé: se un pilota sa che, tanto, ogni suo sbaglio sarà perdonato dalla via di fuga in asfalto, ovviamente si sentirà in dovere di compiere manovre azzardate in sempre più circostanze, costituendo un pericolo per sé e per gli altri. Siamo sicuri che sia questa la strada da percorrere?

La F1, per tornare agli antichi fasti, dovrebbe tornare a essere difficile e dovrebbe tornare a far risaltare il talento dei piloti, senza essere potenzialmente mortale. È questo l’obiettivo a cui bisognerebbe tendere e chi lo sa se, ora che sempre più voci indignate (e autorevoli) si stanno levando, non sia la volta buona che si torni, a quei fasti.

La F1 di oggi è grigia, come le tristi vie di fuga che si vedono ai bordi di piste vecchie e nuove. Vederla così ridotta mi rende altrettanto triste, ma non voglio perdere del tutto la speranza. Nigel Mansell ha detto delle cose risapute, nulla di nuovo, eppure il fatto che a dirle sia stato Nigel Mansell, non l’ultimo dei fessi come potrebbe essere il sottoscritto, mi fa essere un po’ più ottimista.

“Spes est ultima dea”. 

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2 Commenti su “Il Leone Nigel ruggisce ancora”
Fabio Simari dice:

Come sempre….grande Nigel…!!!

Luca Rossi dice:

Pienamente d’accordo su tutto. Mi rimane un dubbio solo su Verstappen. Premesso che probabilmente è un futuro pluricampione e quindi quello che vale per lui forse non vale per tutti i piloti di F1.. ecco Verstappe sta mostrando come si può utilizzare il simulatore per sviluppare il priorio stile di guida invece che fare la “scimmia” radiocomandata (cit.). Che sia l’evoluzione del pilota 2.0?

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