Gocce di pioggia, gocce di memoria

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di Alessandro Secchi @alexsecchi83
5 Ottobre 2016 - 09:00
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Gocce di pioggia. Quelle che due anni fa cadevano sull’asfalto di Suzuka creando un’atmosfera surreale.

Un alone di buio in un muro d’acqua, ventidue piloti immersi in un evento da portare a termine a tutti i costi, l’ora tarda che si avvicina. Dal divano le immagini sono talmente scure da dover schiarire tutto, nel silenzio del mattino quasi ti ascolti mentre, pensando, ti chiedi “ma come fanno a girare così”.  Ti immedesimi, o almeno ci provi, nello stare sdraiato su una monoposto mentre ti piovono secchiate d’acqua addosso e il tramonto, dietro una coltre di nubi inviolabile, si fa sempre più serio, rendendo tutto ancora più scuro. Poi ti rassegni: no, non lo puoi immaginare, cosa (non) vedano da dietro quella visiera.

A posteriori è facile dire che si poteva, doveva, fermare tutto, ma oggettivamente in quel giorno che qualcosa non stesse andando come doveva lo si era capito. Troppa acqua, troppo buio, troppo ritardo sulla scaletta dopo una prima bandiera rossa. Due giri appena e non si sta in pista, niente da fare. Passa mezz’ora. Si ricomincia che nel paese del sol levante sono già le 16.30. Da altre parti a quell’ora il vincitore si sta godendo i festeggiamenti. Ma si deve andare, bisogna farlo, si sa. Il problema è che poi, il buio che cala davvero su Suzuka, non è quello della sera, ma quello che non lascia scampo, quello che non lascerà mai più posto al giorno.

Gocce di memoria. Quelle che scendono pian piano dai ricordi di un ragazzo che quel giorno, a 25 anni, ha perso tutto in un gioco più grande di lui.

L’agonia si è protratta a lungo, nei pensieri della gente, dei tifosi, dei suoi colleghi. Nello strazio dei genitori, dei fratelli, degli amici più vicini, che prima in Giappone e poi a Nizza hanno vegliato su di lui, sperando in qualcosa che si era già delineato come oltre ogni plausibile speranza. Per nove lunghi mesi un lungo filo ha tenuto uniti corpo ed anima, fino a che questa non ha deciso di viaggiare libera e liberare, dietro la sua uscita di scena, tutti da un peso insostenibile.

Non abbiamo le carte per immaginare quale sarebbe stato il futuro di Jules Bianchi. Nessuno lo saprà mai. Campione oppure no, in Ferrari oppure no, in Formula 1 oppure no. Ma questo, onestamente, poco importa ora. Quello che importa, ciò che Jules merita, è che il suo ricordo venga tramandato. Che della sua breve vita non venga ricordato solo l’assurdo incontro fatale con un mezzo atto a generare sicurezza ma trasformatosi, dagli eventi, in portatore di tragedia. Ciò che importa è che dei suoi intensi 25 anni venga lodato lo spirito, la voglia di arrivare, quei due punti a Monaco che ancora oggi permettono alla sua Manor di essere in pista. È importante che venga ricordata la sua gentilezza, il suo essere cortese, tutto ciò che di buono si poteva vedere e sentire solo da uno schermo, figuriamoci a conoscerlo dal vivo.

Come Ayrton, come Roland, come tutti coloro hanno pagato un prezzo troppo alto per vivere i loro sogni, Jules è ancora qui, anche se non lo vediamo.

Perché vive, e vivrà sempre, nel ricordo di tutti.

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