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Luigi Musso


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Luigi Musso è stato un personaggio eclettico. Difficile da interpretare, oscuro nelle sue imprevedibili reazioni, impavido se si svegliava con l'umore giusto, infantile e poco affidabile nelle giornate no. Si poteva definirlo "leone" perché in pista sapeva essere davvero un re, agguerrito e coraggioso, e perché nella quotidianità era indolente, come il dominatore della savana, e dipendeva dalle donne che gli stavano accanto. Era purtroppo vittima dei suoi vizi: fumava fino all'ultimo secondo disponibile prima della partenza di ogni gara, dilapidava il denaro nei casinò, non sapeva mai accontentarsi. Ma la velocità gli scorreva nelle vene, e i suoi avversari lo sapevano.

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Luigi Musso nacque a Roma nel 1924 da una famiglia estremamente benestante: il padre Giuseppe era un intraprendente diplomatico e uomo d'affari, che aveva costruito la sua fortuna in Cina, e, al rientro, aveva fondato la ICI, una casa di produzione cinematografica di successo. Luigi era l'ultimo genito, il più coccolato, cresciuto in una meravigliosa villa vicino a Via Veneto, tra lusso e sfarzi, riverito da camerieri e maggiordomi. Purtroppo a 16 anni rimase orfano di padre, perdendo non solo un importante figura genitoriale, ma anche una guida che gli facesse comprendere il valore del denaro, del sacrificio e l'importanza del lavoro. Aveva due fratelli, Luciano e Giuseppe, e due sorelle Elena e Matilde. Nel 1945 si comprò la sua prima auto, una Fiat Topolino, nonostante ancora non avesse la patente. Nel 1947 suo fratello Giuseppe iniziò a correre con l'Alfa Romeo, ma era Luigi ad avere l'automobilismo nel sangue. Alto, magro, sempre elegantissimo, pareva a molti inadatto alla vita di pilota. Troppo lunatico, troppo viziato. Pensavano fosse il solito riccone che voleva togliersi lo sfizio di gareggiare per poi finire sui rotocalchi e crogiolarsi nel suo effimero successo. Luigi invece voleva davvero correre. Iniziò a prepararsi alla sua futura carriera studiando, analizzava i circuiti, le traiettorie, cercava di comprendere le leggi fisiche fondamentali, insomma, un approccio davvero teorico, ma che gli permetterà poi di diventare un pilota preciso e attentissimo. Non era uno spericolato: sapeva benissimo che con quelle monoposto si moriva, e lui era intenzionato a vincere senza troppi rischi. Non era uno che si risparmiava, ma preferiva calcolare piuttosto che azzardare. Sarà infatti un azzardo a portarselo via. Nella vita di tutti i giorni invece erano continui i colpi di testa: i casinò furono il suo tallone d'Achille. Si giocò cifre incredibili e perse, perse davvero tanto, ma sempre con signorilità. Non rinunciò mai a nulla, il lusso gli era necessario... D'altro canto vi era nato nel lusso, era nel suo dna. Investiva spesso in affari sbagliati, ma non si soffermava mai troppo a rifletterci. Le cose gli scivolavano addosso. Quando iniziò seriamente a correre inanellò un successo dietro l'altro.

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Gli esordi furono a bordo di una Maserati  (l'unico investimento davvero redditizio), corse in tutte le occasioni più importanti vincendo spesso ricchi premi e facendosi pian piano un nome nel mondo delle corse. Vinse nel 1953 il titolo di Campione Italiano Assoluto Sport. Nel 1954 arrivò secondo alla Targa Florio su Maserati A6GCS e terzo alla Mille Miglia su Maserati A6GCS numero 500 con Augusta Zocca, nel 1954 fu primo al Gp di Pescara (Non titolato), nel 1953 divenne Campione Italiano Sport classe 2000 e due anni dopo Campione Italiano Sport classe oltre 2000. La Formula 1 era comunque il suo vero obiettivo. Voleva arrivare in alto. E nel 1954 incominciò la sua breve, ma incisiva, avventura nel circus di F1, come pilota ufficiale della scuderia Maserati. Nonostante alcuni importanti successi (nel 1955 arriva terzo al Gp d'Olanda, dietro Fangio e Moss e battendo quello che sarà il suo amico-nemico più agguerrito: Eugenio Castellotti, che correva per la Scuderia di Maranello), ma sapeva che per raggiungere i suoi scopi la Scuderia giusta era solo una: la Rossa di Enzo. Il 30 aprile 1955 partecipò alla Mille Miglia con la Maserati A6GCS numero 651 ma non riuscì a portare a termine la gara.

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Con il Drake i rapporti non furono mai totalmente sereni, Musso spesso si sentì trascurato a vantaggio dei suoi compagni di squadra, ed Enzo non amava del romano quei vizi e quelle manie di grandezza... Comunque il suo esordio con la Ferrari è datato 1956, anno in cui ottenne la sua più bella vittoria al Gp d'Argentina. Sempre nel 1956 Musso corse la Mille Miglia su una Ferrari 850 Monza numero 556 classificandosi 3°. Alla fine dello stesso anno furono presentati i piloti della scuderia: Luigi Musso, Eugenio Castellotti, Alfonso Portago, Mike Hawthorn e Peter Collins. Una schiera di campioni con un triste destino già segnato. Musso sapeva che, oltre a competere con gli avversari, i primi da battere erano proprio i suoi compagni di squadra. Nel 1957 vinse la 1000 miglia di Buenos Aires. La sua notorietà era ai massimi livelli, e il pubblico italiano lo osannava. La morte di Castellotti (Modena 14 marzo 1957) però lo segnò profondamente, e fu tanto colpito da cambiare anche nel carattere. A maggio morì anche Alfonso de Portago. Nel 1958, nonostante fosse l'unico italiano a competere per il titolo mondiale, venne retrocesso a terza guida dietro Hawthorn e Collins, perchè, l'anno precedente al Gp di Monza, si era rifiutato di cedere la sua monoposto a Fangio. Grande la sua voglia di riscatto. E l'occasione migliore per lui era conquistare il gradino più alto del podio a Reims. La vittoria inoltre significava un premio di 15 milioni, una cifra a lui necessaria per risolvere i suoi enormi problemi finanziari. Purtroppo non aveva fatto i conti con quella maledetta curva che tutti chiamavano il Calvaire. Il 6 luglio 1958 Luigi al decimo giro é secondo dietro Hawthorn. Al Calvaire Luigi decide di non alzare il piede dall'acceleratore per passare l'avversario all'uscita dalla curva. Ma nessuno poteva fare il Calvaire in piena, lo sapevano tutti. Per Luigi è la fine. Muore a soli 34 anni e raggiunge l'amico Eugenio. Quel giorno per la prima volta non aveva rispettato il suo rito scaramantico: l'ultima persona a parlargli prima della gara non era stata la sua compagna Fiamma. Un mese dopo morì anche Collins. E nel 1959 toccò a Hawthorn. Due anni di lutti che segnarono profondamente la storia della F1...

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