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Takuma Sato


Andrea Gardenal

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LA RIVINCITA DI TAKUMA
E dire che quando debuttò in F1, Takuma Sato dovette convivere con la nomea di raccomandato. Che, peraltro, aveva meritato ampiamente: la Jordan aveva appiedato un signor pilota come Jean Alesi per dargli un sedile, assecondando le esigenze del proprio motorista (Honda), che pressava per una rappresentanza del Sol Levante sulle vetture spinte dal proprio propulsore. Quando i giapponesi concentrarono le proprie risorse sulla sola B.A.R., portarono lì il loro pupillo, defenestrando un campione del mondo come Jacques Villeneuve. Cotanta fiducia non fu ripagata: Sato fu surclassato da compagni più esperti e talentuosi come Fisichella e Button e in più di un'occasione si fece notare con svarioni da sfasciacarrozze. Eppure qualche isolato lampo dimostrava che la stoffa non mancava, persino alla guida di una meno competitiva Super Aguri; ma la mancanza di continuità e la perdita dei propri santi in paradiso fecero sì che il buon Takuma uscisse fuori dal giro con l'ingenerosa fama di bidone della massima serie automobilistica.
Come alcuni colleghi caduti in disgrazia in F1, Sato ha cercato il proprio rilancio in quella che possiamo definire come la Serie B delle monoposto a ruote scoperte, ovvero l'Indycar, sempre sotto l'egida di mamma Honda. In tale campionato il nipponico ha confermato le proprie premesse e promesse, cogliendo sporadici buoni risultati, alternati ad incidenti e prestazioni anonime. Nel 2017, a 40 anni, l'imprevisto successo alla 500 miglia di Indianapolis, apparso come il classico exploit della vita, favorito dall'evoluzione di una gara che aveva visto sparire dalla scena i protagonisti più attesi (anche se il giapponese nel finale aveva regolato l'esperto Castroneves, già tre volte vincitore nel catino dell'Indiana).
Stasera, però, Takuma ha messo il sigillo su una carriera sottovalutata, concedendosi il bis in quella che è riconosciuta come una delle corse più antiche e affascinanti del mondo, stavolta combattendo ad armi pari con Scott Dixon, colui che sta agli ovali e all'Indycar come Michael Schumacher stava alla Formula 1. La seconda vittoria a Indianapolis è un privilegio che hanno conosciuto in pochi: altri "eroi dei due mondi" come Emerson Fittipaldi e Juan Pablo Montoya, o specialisti quali Al Unser Jr. ed il compianto Dan Wheldon.
A 43 anni, Takuma Sato può sorridere, con un palmarès e un conto in banca di gran lunga superiori a quelli di tanti ex colleghi dei tempi della F1, magari più stimati da tifosi e addetti ai lavori, ma privi del suo "killer instinct" e del coraggio di rimettersi in gioco in altre latitudini.

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