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Ayrton Senna


Luke36

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Spero di fare cosa gradita a molti se apro un 3d su Ayrton. Certo, ce ne sono tantissimi sparsi per il web ma non qui, su questo bellissimo forum. Pertanto sarà  mia cura postare quante più foto e video possibili, aneddoti e testimonianze, con l'intento di far conoscere la personalità  di Ayrton a tutti quelli che non hanno avuto la fortuna di vederlo in azione.

Chiaramente i contributi di Gio, Claudio, Sun e di tanti altri ma soprattutto di Giacomo, saranno non solo benvenuti, ma doverosi.

Parto da qui, una inquadratura poco nota di uno dei duelli che hanno fatto la storia della F1.

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Chi ben comincia è a metà  dell'opera.

 

 

Biografia:  

 

Il Brasile è un paese meraviglioso e terribile al tempo stesso. In nessun altro angolo del mondo è cosi palpabile la differenza tra il ricco e il povero, tra l'indigenza e il lusso, tra la vita e la morte. A volte nascere in una famiglia benestante può rappresentare qualcosa di più della semplice ricchezza materiale. Ayrton Senna da Silva nasce a San Paolo il 21 marzo 1960, da Milton Guirando Theodoro da Silva e Neide Senna. Prima di lui era nata Viviane (madre di Bruno Senna e quindi nipote di Ayrton), dopo di lui sarebbe arrivato Leonardo. il padre di Ayrton era un uomo molto in vista, si occupava di componenti per autovetture e possedeva alcune aziende agricole che, nonostante la perenne mancanza di tempo, seguiva personalmente. Fin da piccolo, Ayrton viene educato con grande attenzione: non gli viene fatto mancare nulla, anche se è lui stesso, prendendo buoni voti a scuola e aiutando il padre nell'azienda di famiglia, a meritarsi un trattamento speciale. "E' una regola di vita importante: per avere occorre meritare, e per meritare occorre lavorare", disse qualche anno più tardi Milton. Su queste basi Ayrton cementa con la famiglia un rapporto unico e irrinunciabile. Una condizione di vita che neppure i miliardi guadagnati nelle corse, gli appartamenti a Montecarlo e le ville nei posti più esclusivi gli hanno mai fatto dimenticare. "La mia famiglia è la cosa più importante che possiedo", disse all'indomani del suo primo trionfo mondiale. "Più dei soldi, più della fama, più di tutto. nonostante faccia questo lavoro da molti anni, non mi sono ancora abituato alla lontananza da casa. il mio cuore è sempre a San Paolo, dove ci sono i miei amici, la mia famiglia e le mie cose. I brasiliani sono un popolo molto legato alla propria terra e in questo senso, io sarei il più brasiliano dei brasiliani. E' una condizione dura, ma questa è la vita che ho scelto, con tutti i suoi lati positivi e tutti i sacrifici che richiede".

 

Ayrton non era un bambino come tutti gli altri.
Gli piacevano le macchine ed era affascinato da come il padre riusciva a domare quei mostri su quattro ruote che ogni tanto rompevano con il loro rumore la quiete domestica. Cosi, ad appena quattro anni, Milton gli costruì il suo primo kart.

Ayrton non sapeva coniugare i verbi ma imparò presto quali emozioni poteva dare il piccolo motore della sua "macchina". Se fosse riuscito a mettere nello studio lo stesso impegno che dimostrava alla guida di qualsiasi mezzo, forse oggi Ayrton sarebbe stato un celebre studioso brasiliano, un personaggio importante della cultura del suo paese. Invece la scuola veniva sempre dopo i motori. Gli amici a San Paolo hanno ancora oggi impresso nella mente il giorno in cui Ayrton guidò per la prima volta la jeep del padre. Prima, seconda, terza, quarta. Il motore non girava alla perfezione, troppo vecchio e arrugginito, ma Ayrton "sentiva" il mezzo e lo guidava con perizia. Il tutto di fronte all'incredulità  di Milton: la sorpresa di un padre che vede il proprio figlio di sette anni guidare come un provetto automobilista. Il legame tra Ayrton e la sua famiglia ha sempre rappresentato per i suoi biografi quell'elemento che non gli consentì di vivere fino in fondo il successo. Soldi, popolarità  e vittorie non hanno mai sostituito il Brasile nel cuore di Senna che, nel pieno della sua avventura europea, cercò di vincere la sua nostalgia di casa portando con sè la bella Liliane Vasconcelos Souza.

Si erano conosciuti da ragazzi e, per tutti e due, la loro era stata la prima storia d'amore importante. Nel 1981, alla vigilia del trasferimento in Inghilterra, si sposarono, ma l'unione tra la bionda e affascinante Liliane e il timido Ayrton fu tumultuosa e travagliata.

Il matrimonio durò solamente otto mesi, anche perchè, come scrissero i giornali brasiliani, lei aveva troppa paura delle corse per potergli rimanere accanto.

"Credo che la loro unione sia finita per via delle paure di Liliane", afferma il fotografo Keith Sutton, tra i primi amici europei di Ayrton. "Lui era troppo concentrato sulla sua carriera per poter sopportare il peso di una moglie angosciata dalle corse. La presenza di Liliane era una delle attrattive principali del campionato di Formula Ford. Era la classica brasiliana tutta curve che vestiva in maniera provocante.Era bellissima e sempre allegra, ma dopo un pò di tempo Senna capì di aver sbagliato persona e il loro matrimonio fallì" . Quello che è certo è il filo indissolubile che ha sempre legato Senna alla propria famiglia e alla propria terra, un legame assoluto e inscindibile. Il grande campione aveva bisogno della propria gente e del proprio paese, ma anche il Brasile aveva bisogno di Senna, di un campione, per continuare a sperare nel domani. "La mancanza delle persone a cui sono legato e la distanza che mi separa da loro sono le due cose che più hanno caratterizzato la mia carriera. La solitudine è un fatto acquisito, una situazione con cui ho imparato a convivere. Quando si è sempre sotto pressione come lo sono io, si sente il bisogno di tornare ad essere Ayrton Senna e non essere più il campione del mondo. Per me la solitudine è diventata uno stile di vita, uno stato psicologico. E' una scelta che ho fatto, ma non un bene" Dalla madre, Ayrton imparò anche a credere in Dio, a coltivare la propria fede anche in un ambiente difficile come quello delle corse. Era molto legato a mamma Neide, tanto da assumere il suo cognome quando iniziò a correre. "C'erano molti Da Silva nel campionato kart brasiliano, mentre Senna non era un cognome molto diffuso", spiegò qualche anno fa Ayrton, ma forse dietro a quella scelta esisteva qualcosa di molto profondo, di intimo e inviolabile.



A dieci anni Senna era già  un abile meccanico e cercava qualsiasi stratagemma "ingegneristico" per fare andare più forte degli altri il suo kart. Il sabato, forse perchè preoccupato di cosa poteva accadere lasciando sfogare Ayrton sulle pericolose strade di San Paolo, Milton accompagnava il figlio al piccolo kartodromo di Parque Anhembi.

Ayrton corse fino al compimento del tredicesimo anno, primo anno utile per iscriversi alle gare ufficiali.La prima fu a Interlagos, per molti anni sede ufficiale del Gran Premio di Formula 1 del Brasile, fino a quando la Federazione Internazionale non si spostò sul circuito di Rio de Janeiro. Ayrton trovò nel giovane connazionale Mauricio Sala un avversario tenace e di grande talento. Ma la voglia di vittoria del giovane Da Silva (suo vero cognome, mentre Senna era il cognome della madre che qualche tempo dopo decise di aggiungere al suo nome) era qualcosa che non conosceva ostacoli. Cosi, per tutta la stagione, il duello tra le due giovani promesse monopolizzò l'attenzione dei molti spettatori che ogni domenica si recavano nei kartodromi più famosi del Brasile.

La supremazia di Ayrton non mancò di attirare su di lui le critiche di un ambiente appassionato ma povero, che quindi mal digeriva la presenza di un furgone-officina del Team Da Silva nei box dei circuiti. Li si poteva trovare tutto: il pezzo mancante, la chiave giusta, l'olio migliore, le gomme nuove. "Ayrton era straordinariamente bravo e determinato", ricorda Sala, "e i nostri duelli furono qualcosa di assolutamente indimenticabile. Ma il fatto che fosse cosi forte e che dipendesse di un'organizzazione efficiente e,per certi versi, addirittura professionistica, attirò su Ayrton l'antipatia di molta gente. "Io lo rispettavo, ma molti vedevano in lui il classico figlio di papà  che aveva sempre il meglio." Al tempo, Ayrton aveva solo quindici anni, ma la sete di vittorie, il riuscire a primeggiare sugli altri piloti, erano diventati per lui un'esigenza fisica. Se perdeva stava male. Se vinceva era contento. Senna abbandonò i piccoli kart nel 1977, quando passò alla categoria 100cc, conquistando nello stesso anno il titolo brasiliano e sudamericano. A tutti gli addetti ai lavori sembrò normale la vittoria del debuttante Ayrton, semplicemente perchè tutti riconoscevano in lui il più forte, il migliore. Era sostenuto dai tifosi e ben visto dai giornalisti, sempre disponibile a rilasciare un'intervista e a concedere, con una punta di nascosto imbarazzo, un autografo ai suoi giovanissimi sostenitori. Forse perchè ormai considerato il migliore, forse perchè bisognoso di nuovi stimoli, Ayrton si imbarcò nel 1978 per l'Europa: una nuova tappa verso la gloria. Il suo primo obiettivo fu il campionato del mondo kart a Le Mans, un nome leggendario a cui sono legate alcune delle più belle pagine del mondo dell'automobilismo.In Francia, Ayrton non vinse, finendo addirittura sesto. Un buon piazzamento per un debuttante, una totale delusione per un vincente come lui. Alla sconfitta si aggiunse anche l'isolamento, l'assoluta mancanza di comunicazione con gli altri concorrenti, un pò per colpa dell'inglese zoppicante di Ayrton, un pò per il suo carattere chiuso. Comunque, ancora oggi, gli avversari di allora ricordano quello strano "oggetto misterioso" con grande rispetto, sottolineando come "la cosa che più colpiva di lui era la straordinaria padronanza del mezzo, la scioltezza con cui riusciva a guidare. Se fosse stato più estroverso, forse sarebbe diventato l'idolo anche di noi piloti, perchè la gente, i tifosi, già  impazzivano per lui." Nel 1979 Ayrton Senna, ormai considerato dagli addetti ai lavori uno dei migliori piloti di kart del campionato, si presento a Jesolo per l'annuale manifestazione, seconda solo come importanza al Mondiale. Anche in questa occasione non mancò di ribadire la sua assoluta eccezionalità . Mentre la maggior parte degli altri piloti preferì trascorrere lunghe ore sulle assolate spiagge del lido, il brasiliano studiò nei minimi particolari la pista, curando in modo maniacale il proprio kart. Sentiva il "dovere" di essere il migliore in ogni occasione, in prova in gara. A Jesolo, Ayrton si trovò a competere con un avversario oggettivamente più esperto e impaziente di lui, l'inglese Terry Fullerton, vincitore delle ultime quattro Coppe dei Campioni kart. Andò cosi anche quell'anno, complice un incidente di Senna, schizzato sulle protezioni alla seconda curva del circuito e tradito si dalle gomme, ma ancor prima dalla sua irrefrenabile smania di essere primo. L'errore, in quella occasione, fu solo ed esclusivamente di Ayrton. Non cosi pochi mesi dopo ai campionati del mondo a Estoril in Portogallo. Durante le prove, Senna ebbe un grave incidente scontrandosi con un altro concorrente e ribaltandosi più volte. A tradirlo, stavolta, era stata la possibilità  di accontentarsi: "L'incidente avvenne in semifinale, quando mi bastava arrivare secondo per aggiudicarmi la migliore posizione in griglia di partenza della finale. Il concorrente che mi precedeva grippò il motore , piantandosi improvvisamente. Non riusciì ad evitare di tamponarlo e cosi finiì la gara lontano dai primi. Ero molto arrabbiato, perchè mi sentivo che quell'incidente mi sarebbe costato il titolo, anche se ero convinto di essere il più forte." E fu cosi. Per la gioia di Fullerton. L'appuntamento con l'inglese volante venne fissato a Nivelles, in Belgio, sede del mondiale 1980. La voglia di dimostrare a tutto l'ambiente che il migliore era lui costò ad Ayrton la prima batteria, conclusa con una mesta uscita di pista. Andò meglio nelle due gare successive, dove il brasiliano raccolse un primo e un terzo posto, ma l'impegno non fu sufficiente a consacrarlo campione del mondo. Fu solo secondo, cosi come all'Estoril. Battuto, ma sempre convinto di essere il più veloce. Il mondiale in Belgio rappresentò una tappa molto importante per Senna, per la prima volta di fronte ad un bivio: continuare a correre nei kart, con un impegno finanziario alla sua portata e rischi ridotti, oppure tentare la scalata alla Formula 1, con tutti gli ostacoli e i dubbi che questa scelta avrebbe comportato. "Formula Ford 1600, poi la 2000, quindi la Formula 3 e infine la Formula 1. Quella era la mia strada, la vita che avevo scelto fin da bambino. I motori erano tutto per me, vivere senza poter provare il brivido del rischio e il sapore della competizione, non aveva senso. C'era solo un problema: chi poteva dare fiducia ad un brasiliano che parlava male l'inglese e amava poco la vita mondana?.


"Ho lasciato il mio paese e la mia famiglia perchè voglio diventare un pilota di Formula 1. Sono in Europa per fare esperienza e per cominciare a far conoscere il mio nome nell'ambiente. Forse qualcuno mi darà  la possibilità  di realizzare il mio sogno".
 

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Intervista ad Angelo Parilla "Ho scoperto un marziano"

“Ayrton era una persona educata, non rompeva mai, era calmo nei box ma quando scendeva in pista si trasformava e diventava il marziano che tutti conoscevanoâ€. Chi parla è Angelo Parrilla, 65 anni, fondatore della Dap insieme al fratello Achille e scopritore di Ayrton Senna, tre Mondiali vinti in Formula 1 (1988, 1990 e 1991), tragicamente scomparso a causa di un incidente il 1 maggio di 17 anni fa durante il Gp di Imola. “Mio padre aveva un amico che era emigrato in Brasile – racconta Parrilla -. I suoi figli correvano sui Kart: un giorno questo amico mi chiamò e mi disse che aveva visto un talento incredibile. Io investii su di lui e lo portai in Italia. Quel talento si chiamava Ayrton Sennaâ€.

Il brasiliano sbarcò così nel nostro Paese ad appena 17 anni, ma fece subito capire di che pasta era fatto. “La prima volta che lo vidi era un ragazzino – ricorda Parrilla -. Con noi doveva correre il Mondiale di Le Mans. Lo misi su un Kart e dopo cinque giri faceva già  gli stessi tempi del campione del mondo Terry Fullerton. Era un marziano, una palla di fucileâ€. La scoperta di avere per mano un vero e proprio fenomeno arrivò però nel momento della gara. “Chiaramente sul giro veloce era una scheggia, ma era la mischia il suo elemento naturale. Quando c’era la competizione, si esaltava. In gara faceva ciò che voleva: sorpassi a destra e a sinistra. Per me era un marzianoâ€.

Senna è sempre apparso come una persona riflessiva, pensierosa, quasi al limite della malinconia. “A volte viveva in un incubo – ricorda Parrilla -. Eravamo in viaggio per Le Mans e Ayrton mi disse di sentirsi fortunato, perché aveva i soldi per correre mentre in Brasile tanti bambini morivano di fame. Era il 1978 e questo ragionamento arrivò da un ragazzino di nemmeno 18 anniâ€. Ma Parrilla, nei suoi anni trascorsi a fianco del campione di San Paolo, ha anche visto un Ayrton sorridente e spensierato: “Eravamo a Fano per il Campionato Junior. Lui non correva, ma bazzicava nel box. Arrivò una ragazza molto bella e dopo qualche ora sparì con Ayrton. Due giorni dopo si presentò a Parma per effettuare dei test. Lo rimandai a casa a dormire perché era completamente distrutto da quelle 48 ore di fuocoâ€.

Quello tra Parrilla e Senna è stato un rapporto di complicità  e amicizia anche dopo l’approdo del sudamericano in Formula 1. “Non passava spesso a Rozzano a causa dei suoi impegni, ma mi telefonava costantemente. L’ultima volta che l’ho sentito fu il giovedì prima di quel maledetto fine settimana a Imola. Mi disse che voleva lasciare la Formula 1, perché non stava bene alla Williams. Voleva che lo aiutassi a tornare in Brasile per correre sui Kartâ€. Il destino ha invece spento ogni sogno alle 14.17 del 1 maggio 1994, quando il piantone dello sterzo della sua Williams si è rotto, facendolo schiantare contro un muretto della curva Tamburello. “Non credo alla fatalità  â€“ ricorda tra il commosso e l’arrabbiato Parrilla -. Non poteva succedere una cosa del genere, perché il piantone dello sterzo non si salda nemmeno sui trattori agricoli. Inoltre la Williams non ritirò la seconda vettura perché doveva prendere i soldi della partenza. Ayrton è morto sul colpo, ma fecero la scenetta di portarlo in ospedale per non annullare il Gp. ‘The show must go on’, come dicono gli americaniâ€.

Un legame, quello tra Senna e l’Italia, che si sarebbe rinforzato al termine di quel 1994, quando il brasiliano si era promesso alla Ferrari. “Sarebbe andato a Maranello, era già  tutto definito. La Rossa era un suo desiderioâ€. Senna lanciato nel mondo della corse da una casa italiana. Senna tragicamente scomparso, ed entrato nel mito dell’automobilismo a soli 34 anni, a Imola. Senna che avrebbe chiuso la sua carriera con la Ferrari. Un filo conduttore che lega in maniera indissolubile all’Italia quello che per molti è stato il pilota più forte e spettacolare di tutti i tempi.

Di seguito la lettera scritta da Angelo Parilla e ritrovata dopo 15 anni da quel 1° maggio 1994. Un testamento morale di Parilla.

Il ragazzo venuto dal Brasile

Non era umano, era un extraterrestre. Aveva una simbiosi col mezzo meccanico, kart o Formula 1 che fosse, che personalmente ho visto solo in due piloti della storia del motociclismo. Il primo fu uno zingaro, nel senso buono della parola, di nome Tarquinio Provini. Con una Morini 250cc monocilindrica fece tremare l’impero del Sol Levante fino all’ultima gara del Mondiale. Il secondo fu Gary Hocking, che alla sua prima gara con una moto competitiva (MZ 250 cc 2T) fece sembrare gli idoli del Circus motociclistico un gruppo di appassionati da raduno domenicale.

Ritengo che Ayrton abbia vissuto in credito con la vita e con il mondo. Penso che la rabbia interiore che covava dentro di se sia stata generata e alimentata dalla mancanza di giustizia umana nei suoi confronti. Sono convinto, e mi sembra che in un’intervista alla TV brasiliana nel 1992, egli stesso lo abbia confermato, che il suo più grande rammarico –quando era già  3 volte campione del mondo di Formula 1- sia stato di non essere divenuto campione del mondo di kart. Ayrton doveva esserlo di diritto e avrebbe potuto sicuramente vincere tre volte quel mondiale di kart, tanto desiderato e meritato. Oggi tutti osannano Ayrton, anche quelli che solo fino a due giorni prima, scrivevano soltanto di golf, pallone o tennis. Lo osannano le autorità  sportive, e i grandi imbroglioni, che gli hanno giocato contro sin dall’inizio. Sarebbe troppo lungo da spiegare perché, ma garantisco che posso ampiamente dimostrarlo, che sin dalla sua prima comparsa sulla scena, Ayrton aprì immediatamente un credito personale con la storia. Esistono fortunatamente persone che possono testimoniare che quanto asserisco è la sola verità . Di verità , vorrei essere chiaro, ne esiste solo una, non due. E’ facile ora parlare di Ayrton, è quasi d’obbligo. Io ho taciuto per anni perché, spero e credo, tra noi c’è sempre stato un profondo e reciproco rispetto. Ora mi sembra giunto il momento di smistare il vero dal falso. Personalmente, e a nome della ditta che rappresento, ho parlato una volta sola di questo argomento. Ed è stato con Angelo Orsi, intimo amico di Ayrton, e con Carlo Cavicchi, uno di cui avevo il massimo rispetto sin dai tempi di un suo gesto di grande sportività  sulla Pista Rossa di Milano. Ho trattato e ho vissuto per cinque anni con Ayrton, condividendo con lui gioie e dolori. Ci siamo confrontati, ci siamo punzecchiati: è sempre difficile vivere in un team vincente per tanti anni sempre alla ricerca della prossima vittoria, ma ci siamo sempre rispettati. Ognuno faceva al meglio il suo lavoro, io l’organizzatore, mio fratello Achille, il coordinatore e gestore dei mezzi, lui il pilota. E per immolarsi lassù dove osano le aquile, tutto deve essere assolutamente super. Ma il potere costituito ci era contro.

Sono stato fortunato perché quando Ayrton vinse l’ultima Finale del Campionato Mondiale di karting all’Estoril, alzando le braccia al cielo negli ultimi tre giri mentre decine di migliaia di persone lo osannavano, non toccò a me dirgli che in realtà  non aveva vinto. Fu Achille a doverlo fare.

Lui scese dal kart, baciò mio fratello, baciò i meccanici, baciò me… Aveva raggiunto il settimo cielo, era stato esaudito nel suo più grande desiderio, sapeva di essere il migliore e lo aveva dimostrato in pista, se mai ce ne fosse stato bisogno. Noi sapevamo che era a pari punti, e che era secondo per un nuovo regolamento ai limiti del ridicolo. Toccò a mio fratello dirglielo, e lui scoppiò in un pianto di rabbia e disperazione. Pianse come un ragazzo di 18 anni che si rende conto di aver subito un’ingiustizia. Per la seconda volta nella sua vita fu in credito. Chiedeva “Perché?â€, e mio fratello gli spiegò che la Cik aveva cambiato i regolamenti. Questo “Perché?†ha continuato a ossessionarlo avanti negli anni, continuamente.

Perché non fu accolto il mio reclamo al mondiale di Nivelles? Perché fu defraudato della prima vittoria in F1 a Montecarlo? Perché? Perché? La sua vita è stata tutto un rincorrere i perché…

E oggi a Imola ci sono stati troppi, assurdi perché.

Sono sicuro che dove si trova ora, qualcuno gli renda conto del credito nei confronti della vita, dal momento che in questa madre terra, nessuno gli ha riconosciuto quello che gli spettava di diritto: LA GIUSTIZIA.

Ciao ayrton.

Altra testimonianza di Parilla

"Non avevo mai sentito parlare di Ayrton Senna Da Silva, ma un giorno ricevetti la telefonata di vecchio amico che viveva a San Paolo, i cui due figli correvano in kart con lui, che mi chiese se potevo aiutarlo, dato che voleva venire a gareggiare in Europa. Prima che arrivasse a Milano suo padre mi chiamò per dirmi che era molto difficile in fatto di cibo, tanto che quando correva in altri paesi sudamericani non mangiava nulla finchè non tornava a casa, raccomandandomi di non restituirglielo denutrito. Così, quando andai a prenderlo all'aereoporto, decisi di portarlo a pranzo, con i bagagli ancora in mano e stanco per il lungo volo, per vedere subito di che morte saremmo dovuti morire. Andammo in una trattoria toscana e quel ragazzino smilzo dalla faccia simpatica divorò un piatto di spaghetti alla carbonara, una fiorentina con insalata e un dessert. Non beveva vino e non fumava, così alla fine gli chiesi se voleva un caffe. 'No, ma se è possibile prenderei qualcosa d'altro', 'Non c'è problema: cosa vuoi?', 'Ancora spaghetti, grazie'. Conclusi che se era difficile nel mangiare, beh costava meno vestirlo... Iniziò così un rapporto solido e duraturo fatto di simpatia, affetto e vicinanza: parlava solo in portoghese e qualche parola in un pessimo inglese e questo si rivelò un grande problema perchè gli avevamo prenotato una camera in un hotel gestito e frequentato da anglosassoni... Per comunicare tra noi sviluppammo un linguaggio a metà  tra il portoghese, lo spagnolo e l'italiano, che funzionava bene anche perchè in media non pronunciava più di trenta parole al giorno. Gli inizi furono difficilissimi: si vedeva che soffriva la solitudine, ma anche che era determinato a resistere e a dimostrare a se stesso che sarebbe riuscito a stare lontano dal Brasile. E comunque, quando guidava il suo kart, tutto il resto spariva... Per sua fortuna, una decina di giorni dopo il suo arrivò volò in Italia anche il suo meccanico, il famoso Tchè, uno spagnolo che lo aveva preso in cura da quando aveva tredici-quattordici anni, tirandolo su come un figlio. Il loro rapporto era molto stretto tanto che Tchè, uno dei pochi europei andati a far fortuna in Brasile e a non esserci riusciti, arrivò fino a Milano a sue spese, pur non essendo un uomo ricco, solo per sostenerlo e stargli vicino, proprio come un padre. Ayrton era al settimo cielo: gli voleva molto bene e potendo finalmente parlare con qualcuno nella sua lingua madre si sentiva un po' come a casa... Era un diciottenne simpatico e ben educato, riservato e tranquillo, che non ci dette mai nessun problema: era interessato solamente al suo kart e a nient'altro. Dopo un paio di settimane lo mandammo a Parma a provare dei nuovi motori e per fargli conoscere il nostro pilota di punta, l'irlandese Terry Fullerton, all'epoca il numero uno al mondo. Come si videro fù immediatamente chiaro che non si sarebbero mai sopportati: erano diversi come il giorno e la notte! Decidemmo di fargli fare subito un po' di gavetta, tanto per capire di che pasta era fatto. Gli toccò rodare la bellezza di 50 motori, una vera e propria tortura al ritmo di sette al giorno per un'intera settimana. Penso sia stata la più grossa purga della sua vita, tanto è vero che me l'ha sempre rinfacciato. Lui rodava e, come finiva, il motore passava al caposquadra che lo provava in velocità . Finalmente l'ultimo giorno gli abbiamo dato il via libera, la possibilità  di fare qualche giro in piena andatura. Fù come liberare un toro rinchiuso e ringhioso. Già  al quinto o sesto giro girava nei tempi nell'imbattibile Fullerton: una cosa fuori dal mondo perchè uno che veniva dal Brasile, che non aveva mai guidato con gomme Bridgestone (molti campioni avevano impiegato anche più di un anno ad adattarsi), che non aveva mai girato su una pista tecnica come quella di San Pancrazio, non poteva viaggiare sui tempi del campione del mondo! Così ci fermammo ancora un paio di giorni e i due, confrontandosi, si sono subito inquadrati, imparando a rispettarsi reciprocamente. Terry era bravissimo, ma Ayrton era nettamente il più forte, anche perchè, non conoscendo il valore dei piloti europei e non volendo assolutamente fallire, era arrivato da noi con un allenamento di sei ore di kart al giorno, cioè preparatissimo anche dal punto di vista fisico. Era anche un collaudatore fantastico, con una straordinaria sensibilità : ricordo che durante una gara, tornò al box dopo solo un paio di giri, dicendomi che uno dei pneumatici anteriori era più grande dell'altro. Risposi che era impossibile, ma insistette finchè non controllai. Fu il momento più sorprendente di tutta la mia vita: aveva ragione, avevano una differenza di un millimetro! Chiaramente sul giro veloce era una scheggia, ma era la mischia il suo elemento naturale. Quando c’era la competizione, si esaltava. In gara faceva ciò che voleva: sorpassi a destra e a sinistra. Per me era un marziano! Se non è mai riuscito a vincere il mondiale è stato solo per sfortuna: di fatto gli girò sempre tutto contro, regolamenti compresi. In particolare, nel 1979 perse per un assurdo cavillo secondo il quale non contava più il risultato della terza e ultima finale, ma il punteggio nella manche di qualificazione. Fu un vero dramma: si gareggiava all'Estoril e tutto il pubblico tifava per lui. Ayrton vinse la seconda finale e nella terza addirittura passeggiò terminando a braccia alzate tra il tripudio della folla portoghese. Credeva di aver vinto il campionato del mondo, tutti in pista lo credevano, ma noi ai box sapevamo che avevano cambiato le regole. Dopo aver terminato la corsa saltava per la gioia e baciava tutti quelli alla sua portata. Così mio fratello io ci facemnmo forza e andammo a dirgli la verità : 'Ascolta Ayrton: non sei tu il Campione del Mondo. Sei arrivato secondo." Mi guardò negli occhi per accertarsi che fossi serio e poi si mise a piangere, come non ho mai visto piangere nessuno nella mia vita. Ci provò ancora per due anni, ma una volta finì ancora secondo, e poi quarto, perchè noi della DAP non eravano competitivi in quella categoria... Arrivava in Italia a maggio per la Coppa dei Campioni e restava fino a settembre, per il mondiale. Ricordo che il secondo anno si commosse vedendo che gli avevamo fatto lavare le tute da gara, così che potesse trovarle già  pronte da indossare: non si aspettava che la gente gli volesse così bene, che tenessimo tanto a lui. Era un caro ragazzo, davvero caro, e col tempo divenne per la nostra famiglia una specie di figlio acquisito. Abitava a casa nostra, non più in hotel: una settimana da me, una da mio fratello e una da nostra madre. Una cosa che mi è sempre sembrata strana è che in tutti quei mesi lontano da casa non telefonava mai alla sua famiglia, nè lo facevano loro. Il silenzio assoluto. Alcune volte provai a domandargli dei suoi genitori, di sua sorella, del suo fratellino, ma non ricevevo nessuna risposta. Era un atteggiamento che mi sbalordiva, così insistevo: 'Senti, se vuoi chiamare casa, guarda che puoi farlo', ma lui diceva di no. Faceva parte del suo diventare uomo? Era un modo per dimostrare il suo essere adulto? O temeva che sentendoli avrebbe sofferto di più per la lontananza? Proprio non so, non me lo sono mai spiegato... Di certo era un ragazzo riflessivo, che faceva ragionamenti profondi nonostante la sua giovane età : una volta, credo fosse il 1978, eravamo in viaggio per Le Mans e mi disse di sentirsi fortunato, perché aveva i soldi per correre mentre in Brasile tanti bambini morivano di fame... iNon aveva hobbies particolari: si alzava e veniva in officina dove passava tutto il suo tempo, tranne le ore per mangiare, poi, alle ventuno andava a dormire. In tre anni sarà  andato a vedere i negozi del centro al massimo tre volte. In compenso un anno andammo a Fano per l'Europeo junior, lui non correva, ma bazzicava nel box. In gara c'era anche un certo Lanzetti che si era tirato dietro un'amica di Brescia molto carina. Era piena estare e questa sfoggiò un microcostume sconvolgente. Credo che lì Ayrton sia impazzito perchè a un certo punto sparì con lei e si fece rivedere solo dopo due giorni, quando presentò a Parma per effettuare dei test. Lo rimandai a casa a dormire perché era completamente distrutto da quelle 48 ore di fuoco... Nel 1981 ci lasciò per andare a correre in Inghilterra, ma continuammo a restare in contatto. Quando arrivò in Formula 1 scoprì un mondo differente, dove non c'era spazio per i sentimenti, le debolezze e i rapporti umani, un mondo freddo e spietato che non gli piaceva per niente, così si costruì una facciata diversa per mostrarsi ad esso, una specie di corazza. In quei mesi mi capitava di vederlo rilasciare interviste alla televisione: lo guardavo, lo ascoltavo e non mi sembrava la stessa persona che conoscevo io. Ma quando tornava e stava qualche giorno con noi, tornava lo stesso di sempre. Pochi giorni prima del GP di Monza, che non avrebbe corso perchè la Toleman aveva deciso di punirlo dopo l'ufficializzazione del suo passaggio alla Lotus, venne a trovarci e così gli chiesi direttamente che cosa c'era che non andava. Mi rispose: 'C'è che detesto la Formula Uno e tutta la sua gente!'. Credo gli ci siano voluti tempo e fatica per riuscire ad adattarsi, e che comunque abbia sempre rimpianto gli anni del karting. Non a caso, alla fine del 1993, quando una giornalistagli domandò chi fosse il miglior pilota che avesse conosciuto non rispose Piquet, o Prost o Mansell, ma Terry Fullerton, il 'nostro' Fullerton. Anche se ormai era il grande Ayrton Senna Da Silva, tre volte Campione Mondiale di Formula Uno, non ci aveva dimenticati. E non lo fece mai: non passava spesso a Rozzano a causa dei suoi impegni, ma mi telefonava costantemente. L’ultima volta che l’ho sentito fu il giovedì prima di quel maledetto fine settimana a Imola. Mi disse che voleva lasciare la Formula 1, perché non stava bene alla Williams. Voleva che lo aiutassi a tornare in Brasile per correre sui Kart... Invece poi avvenne quello che sappiamo tutti... Io non credo alla fatalità : non poteva succedere una cosa del genere, perché il piantone dello sterzo non si salda nemmeno sui trattori agricoli. Inoltre la Williams non ritirò la seconda vettura perché doveva prendere i soldi della partenza. Ayrton poi è morto sul colpo, ma fecero la scenetta di portarlo in ospedale per non annullare il Gran Premio."

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Grazie Luke.

Anch' io ho tanti ricordi di Ayrton, libri, cappellino e, anche, una bandiera originale brasiliana, tenuti come reliquie. :wub:

Uno curioso è questo (questo dimostra a che livello tifavo x il Magico):imag0026ff.jpgimag0027cb.jpg

Non trovando la Lotus (Policar) di Ayrton verniciai (casco e guanti compresi) la Ferrari (la 126, mi pare) con un risultato (molto) primitivo, ma così potevo sfidare le Rosse e le Benetton, peccato che non potevo farlo sul bagnato. :D

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Grazie Luke.

Anch' io ho tanti ricordi di Ayrton, libri, cappellino e, anche, una bandiera originale brasiliana, tenuti come reliquie. :wub:

Uno curioso è questo (questo dimostra a che livello tifavo x il Magico):imag0026ff.jpgimag0027cb.jpg

Non trovando la Lotus (Policar) di Ayrton verniciai (casco e guanti compresi) la Ferrari (la 126, mi pare) con un risultato (molto) primitivo, ma così potevo sfidare le Rosse e le Benetton, peccato che non potevo farlo sul bagnato. :D

:)

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  • leopnd changed the title to Ayrton Senna

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